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La mente e il cuore : il controllo delle emozioni

  • Immagine del redattore: Francesco Petrarolo
    Francesco Petrarolo
  • 24 giu 2017
  • Tempo di lettura: 9 min

Per mantenere in equilibrio la mente e il cuore è necessario avere la consapevolezza delle proprie emozioni, che si manifestano sia nell’attività lavorativa che nella vita sociale. L’esercizio aiuta poi a individuare quali emozioni possono essere pericolose per la propria stabilità e per i rapporti con gli altri.

Le emozioni

Le emozioni sono le reazioni affettive intense, provocate da stimoli interni o esterni; ci accompagnano in ogni momento della nostra vita: negli incontri con gli altri, quando pensiamo, guardiamo la televisione, leggiamo il giornale, nelle riunioni di lavoro, mentre mangiamo o stiamo per intraprendere un viaggio, quando sogniamo. Le emozioni mutano improvvisamente l’equilibrio della coscienza, si accompagnano ad alterazioni del sistema neurovegetativo (ritmo respiratorio, battiti del cuore, ecc.) e da riflessi mimici (ad esempio riso, pianto, gesti); esse ci dominano se non siamo nelle condizioni di metterle in equilibrio con la nostra razionalità. È ormai consolidato che, in una qualunque situazione d’emergenza, prima che la stessa sia accertata e analizzata sono le nostre emozioni che si fanno largo, a volte consentendoci, con una velocissima reazione, di prendere decisioni utili e importanti come ad esempio uscire da un’auto in fiamme, altre volte, invece, con la stessa tempestività, ci fanno gridare in preda al panico e magari prendere a schiaffi nostro figlio solo perché ha rotto la tazza del latte, pentendoci subito dopo.

La ragione

La razionalità è la capacità di ragionare, riflettere, prendere decisioni dopo aver analizzato rischi e vantaggi, articolare logicamente il pensiero.

La ragione, come le emozioni, ci accompagna quotidianamente in ogni nostra attività: riflettiamo sulle decisioni da prendere, analizziamo i dati e i tempi, le circostanze e i rischi, valutiamo il comportamento dei nostri colleghi, identifichiamo i limiti delle nostre attitudini e così via.

L’equilibrio armonioso

La razionalità e le emozioni devono armonizzarsi per evitare di incorrere in azioni di cui ci potremmo pentire, senza comunque toglierci la possibilità di conservare l’istintività che è un importante valore della nostra vita.

Per mantenere in equilibrio la mente e il cuore è necessario avere la consapevolezza delle proprie emozioni, evitando di esserne succubi, riconoscere i sentimenti, controllarne il valore per poi riuscire a gestire i piaceri, le ansie, le preoccupazioni, gli amori, i disagi, la vergogna, e così via.

Mantenere sotto controllo le paure, le depressioni o semplicemente gli stati d’ansia, essere capaci di riflettere prima di concederci totalmente al più piccolo sorriso, ci consente di capire meglio le minacce, di riconoscere le opportunità della vita e, quando è necessario, ci aiuta a risalire la china se il vento non è favorevole.

Capire le emozioni degli altri

Nella vita sociale, che è fatta di continue transazioni, non solo è importante avere la consapevolezza e il controllo dei propri sentimenti, cercando di alimentarli con prospettive incoraggianti e ottimismo a volte frenandoli, altre volte ignorandoli ma necessita pure che si riesca a comprendere i nostri interlocutori e le loro emozioni.

Per conoscere e prevedere le reazioni affettive degli altri bisogna studiare e intuirne i comportamenti, entrare in empatia, spogliarsi dei propri pregiudizi e soprattutto bisogna evitare di credere che gli altri si comportino come ci comporteremmo noi se fossimo al loro posto. La conoscenza delle emozioni dei nostri interlocutori ci aiuta, e a volte ci obbliga, a modulare i nostri comportamenti, che possono essere la conseguenza delle loro possibili reazioni: se sappiamo che un amico è irascibile, per esempio, non lo aggrediamo in malo modo se ci fa un torto, ma possiamo (purtroppo) aggredire un collaboratore, invece, se sappiamo che non è capace di reagire.

I meccanismi che intervengono quando dobbiamo armonizzare le nostre con le altrui emozioni sono complessi: l’empatia, gli obiettivi che ci siamo prefissati, la sensibilità, le circostanze, il carattere, il momento, i desideri.

Imbrigliare i sentimenti

Non è certo semplice imbrigliare e dominare le proprie emozioni perché le stesse tendono a svincolarsi dalla nostra ragione, a prendere quel sopravvento che a volte ci porta in quegli stadi d’afflizione o d’eccessiva euforia in cui ci crogioliamo, senza pensare che essi possano sfociare in quei circoli viziosi (depres- sione, collera, violenza) o virtuosi (infatuazione, adorazione, trasecolamento) dove le emozioni fanno a gara tra loro per avere il predominio.

A volte cerchiamo dentro di noi motivazioni, appigli per aumentare, consciamente o inconsciamente, lo stato emozionale: se riceviamo un torto ripensiamo alla scena dell’accaduto per trovare pretesti e dettagli che ci sono sfuggiti, che alimentano, ingigantendolo, il livello dello stato delle reazioni affettive.

I pensieri, i desideri, i sogni ad occhi aperti sono la benzina dei nostri sentimenti, alimentano e foraggiano le emozioni spingendo le stesse a prevalere sulla ragione.

Le emozioni prendono il sopravvento

Nella nostra vita assistiamo spesso a sconvolgimenti talmente repentini che solo quando ci ripensiamo, riflettendo sull’accaduto, ci rendiamo conto di quanto ci siamo lasciati trasportare dagli eventi. Facendo shopping, presi dal piacere, non ci rendiamo conto, se non alla fine della giornata, che abbiamo speso una buona parte dello stipendio nel gioco (felicità). Incantati da un tramonto lasciamo il pupo per troppo tempo solo, che, armeggiando con i rubinetti, allaga il bagno, mentre magari brucia l’arrosto nel forno (stupore). Per soggezione non abbiamo osato dire a chi con interesse e garbo si stava interessando alla nostra persona, che anche noi eravamo interessati e forse un po’ attratti, perdendo magari l’occasione della vita (vergogna).

Dimostrando sgradevolezza per un vino non perfetto, offendiamo un amico che ci aveva invitato a cena (spregio). Per timore di ritorsioni non denunciamo il nostro capo che si permette confidenze poco opportune e soprattutto non condivise (paura).

Osteggiamo, indignati, un nostro superiore per una decisione che non ci ha premiato facendogli perdere la stima nei nostri confronti (ostilità).

Nella letteratura troviamo importanti spunti di riflessione: nella tragedia “Otello” di William Shakespeare osserviamo come il Moro, soggiogato da Jago, trasforma il dubbio del tradimento dell’amata Desdemona in gelosia e, successivamente, in maniera esponenziale, in certezza d’inganno, poi avvilimento, angoscia, disperazione, spregio, impeto, furore, ostilità e violenza. Otello arriva ad uccidere la moglie e poi a suicidarsi quando scopre l’inganno di Jago (amore, afflizione, spregio, ostilità).

Nella tragedia “Romeo e Giulietta” - sempre di Shakespeare, che si svolge in 4/5 giorni - un incontro fugace tra i due protagonisti, pochi attimi, trasformano il piacere in desiderio, trasporto, adorazione e infatuazione. L’improvvisa passione porta gli amanti al matrimonio e, in rapida sequenza, attraverso l’afflizione, la pena, la desolazione e l’avvilimento, al suicidio, quando per fatalità ognuno si accorge di aver perso l’altro (amore, paura, afflizione, ostilità).

Queste emozioni, che si scatenano così velocemente e così eccessive, senza controllo, senza un minimo di riflessione, dominano il nostro animo, ci fanno perdere il contatto con la realtà e ci possono condurre ad estreme e irrazionali decisioni; a volte, però, possono anche salvarci da pericoli imminenti.

Il 23 novembre 1980, a Pompei, giorno del terremoto in Campania, un amico mi raccontava che guardava la televisione accanto alle sue prime due bambine mentre la moglie cambiava la terza, an- cora neonata.

All’improvviso ci fu la scossa tellurica, che fu avvertita molto rapidamente, e in 10-15 secondi riuscì a trascinare tutta la famiglia in strada mentre una parte dell’abitazione subiva lesioni.

In strada, mi disse, si trovarono con altri condomini, e un loro vicino, dopo qualche minuto, si accorse che era sceso dal secondo piano con la moglie dimenticando l’unica figlia di quattro anni in salotto a giocare. Quest’episodio dimostra come le stesse emozioni (stupore, paura) furono affrontate in modo diverso perché diversa fu la capacità dei due di analizzare velocemente ciò che stava accadendo e decidere razionalmente cosa fare.

La consapevolezza emozionale

La consapevolezza dei nostri sentimenti, il riconoscerli, sapere i confini e i limiti dei nostri comportamenti, ci serve ad evitare di lasciarci prendere la mano. Intervenire quando un circolo vizioso o virtuoso si innesca troppo rapidamente, interromperlo quando siamo ancora in tempo, evitare che i sentimenti salgano di temperatura, non allontanarci dalla realtà, ci può evitare rovinosi tracolli o scelte irrimediabili. Tutte le volte che dobbiamo affrontare percorsi, o solo verificare lo stato delle nostre emozioni, dobbiamo avere un minimo di distacco dalle stesse, metterci alla finestra e osservarle come se stessimo valutando fatti che non ci appartengono. È necessario evitare di lasciarci sopraffare, di rassegnarci, dobbiamo armarci di coraggio, guardare al di là delle vicine prospettive; bisogna analizzare lo stato delle cose e i percorsi da iniziare, magari avere un po’ d’ottimismo quando le negatività hanno il sopravvento, un po’ di realismo quando le emozioni troppo piacevoli fanno da padrone, un po’ d’agnosticismo se siamo troppo coinvolti.

Spingere i sentimenti

A volte è opportuno spingere le nostre emozioni quando le stesse sono troppo tenui: dobbiamo mostrare stupore, per accontentare una persona cara, se notiamo che un tramonto è troppo scialbo, manifestare indignazione per uno strip-tease che dentro di noi provoca piacere, mostrare timidezza quando invece vorremmo; essere sfacciati, ostentare coraggio quando abbiamo una forte paura. Altre volte è l’indifferenza, che non è un sentimento, che deve prevalere sulla collera o sulla gioia. Spingere i sentimenti non significa diventare ipocriti o falsi, mostrare cioè quello che non sia- mo; deve essere solo un adattamento migliorativo dei rapporti personali, una sensibilizzazione delle nostre reazioni affettive, un controllo delle impulsività che potrebbero generare stati di disagio o di disarmonia. Cercare l’equilibrio emozionale Avere la conoscenza delle proprie e delle altrui emozioni, spingere e frenare i propri sentimenti creano il senso dell’armonia tra quanto l’impulsività ci spinge a fare e la ragione, sia quando instauriamo rapporti con altre persone, sia quando siamo da soli con i nostri pensieri. Non lasciandoci sopraffare dai sentimenti, ma senza neanche annullarli, con un buon equilibrio cuore-ragione, gestito in ogni situazione, possiamo affrontare le minacce e le opportunità della vita con maggiore serenità. L’equilibrio emozionale non deve essere inteso come la robotizzazione dei sentimenti, deve essere costruito per l’armonia nostra e dei rapporti che instauriamo con gli altri; è l’attenzione nei comportamenti, è un modus-vivendi che deve renderci immuni dagli sconvolgimenti emozionali della nostra in- teriorità, è il miglioramento delle relazioni interpersonali.

Conoscere le emozioni

Le emozioni non sono positive o negative, belle o brutte, sono emozioni e basta. Non vanno etichettate perché fanno parte della nostra cultura, del nostro modo d’essere e come tali devono esse- re accettate. Noi dobbiamo solo conoscerle, valutarle e con tanta difficoltà controllarle. La conoscenza delle emozioni è certamente un’ardua impresa, perché le circostanze che le fanno nascere, gli stati d’animo che abbiamo quando le affrontiamo, gli obiettivi che ci siamo prefissati, consciamente o inconsciamente, non ci consentono univocità emozionale e quindi comportamentale. La determinazione e il peso delle reazioni affettive variano in funzione delle innumerevoli variabili che le influenzano. Uno degli obiettivi di questa esercitazione è la cognizione e la valutazione dei nostri stati d’animo; in otto classi di emozioni primarie (amore, felicità, stupore, paura, ostilità, afflizione, spregio, vergogna), che rappresentano alcuni nostri sentimenti, sono raggruppati, con gradualità , quelli che ne fanno parte, passando da quelli più tenui a quelli più forti e decisi. Nella determinazione dei valori delle otto classi occorre che ci immedesimiamo nel loro interno, che pensiamo di vivere quel clima emozionale per cercare di capire fin dove potremmo spin- gerci se ci trovassimo in quella specifica situazione. Mi rendo conto di quanto sia complicato prevedere una nostra possibile reazione, perché è difficilmente determinabile quando non stiamo vivendo quell’emozione, ma se siamo capaci di conoscere noi stessi (Socrate docet), leggere dentro di noi, possiamo intuire fin dove po- tremmo spingerci. Odiare una persona non ci impone di ucciderla, amarla non significa infatuarci, rimanere incantati non è trasecolare. Per evitare reazioni a catena, del tipo collera innesca collera, dobbiamo entrare in allarme quando appaiono i primi segnali di pericolo, intervenire ai primi sintomi per non giungere al punto in cui diventa problematico il controllo e il ritorno alla ragione. La conoscenza dei limiti massimi delle emozioni non significa averne sempre paura e non viverle, perché le stesse devono essere sì vissute, ma nella consapevolezza, magari dopo aver valutato i rischi e le possibili opportunità.

Nelle otto classi di emozioni abbiamo diverse predisposizioni e diversi livelli di guardia, in quanto vari sono i contenuti, le pericolosità, gli obiettivi e le circostanze in cui si manifestano.

Possiamo essere più propensi alla collera e meno alla paura, può interessarci, in un momento, mostrare più vergogna e meno sfacciataggine; di norma siamo più disposti a far salire la temperatura di alcune emozioni e non di altre.

Diamo il peso alle emozioni

Con una crocetta dai il peso (da 1 a 4) a tutti i sentimenti di seguito espressi che ritieni vicini al tuo carattere, al tuo modo d’essere, considerando che nel tempo essi si modificano perché diverse sono le condizioni psicologiche, le circostanze, le variabili, le esperienze e le vicissitudini che li determinano. Indica i sentimenti per come veramente sei e non per come vorresti essere. Quando hai completato lo schema riporta il punteggio realizzato di ogni raggruppamento nel secondo prospetto contenente ai due lati i punti, scrivendo il nome della classe che inserirai nell’area di riferimento; troverai per ogni punteggio un’identificazione del rischio emozionale. Ritengo che la collocazione nelle aree di pericolo debba essere più autodefinita dalla conoscenza di noi stessi, di come, quanto e in quanto tempo sappiamo possano salire le temperature emotive, che non da quanto predisposto nella matrice di riferimento.

la mente si avvicina al cuore

L’altro scopo che mi sono prefissato in questa esercitazione è capire con anticipo se e quali emozioni possono essere pericolose per la nostra stabilità e per i nostri rapporti con gli altri, per cui se vi trovate collocati in un’area di pericolo, bisogna suonare il campanello d’allarme prima che il pericolo diventi punto di non ritorno.Il primo prospetto al quale abbiamo dato le nostre risposte e la matrice successiva definiscono il limite massimo del pericolo in cui pos- siamo incorrere, ma noi, prima di incunearci in un circolo pericoloso, ove il crescere delle emozioni può essere esponenziale (vedi Otello) dobbiamo ricorrere a tutta la razionalità di cui siamo in possesso, contare fino a 10 come raccontava un vecchio adagio, riflettere sulle circostanze, valutare rischi e opportunità, in poche parole dobbiamo essere capaci di controllare e, se necessario, imbrigliare le nostre emozioni. Più veloce è il tempo in cui la nostra logica si mette in moto, più si affianca la mente alle nostre reazioni affettive, più siamo al sicuro dai pericoli delle emozioni sfrenate.

 
 
 

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