Le capacità relazionali 1°parte
- Francesco Petrarolo
- 5 set 2017
- Tempo di lettura: 4 min

Analisi transazionale
L’unità del rapporto sociale si chiama: transazione.
Se due o più persone si incontrano in un aggregato sociale, prima o poi qualcuno si deciderà a parlare o a dar segno che si è accorto che ci sono altre persone; questo è definito stimolo transazionale, cioè la voglia di parlare e o ascoltare.
Se in questo contesto una o più persone diranno o faranno qualcosa che sarà in qualche modo in rapporto con lo stimolo transazionale; questo comportamento è definito reazione transazionale.
L’analisi transazionale è il metodo per esaminare questa transazione in cui io faccio qualcosa tu reagisci in qualche modo e si determina quale molteplice natura dialogica o comunque reattiva si mette in luce.
I modelli della transazione
La transazione è l’unità dei rapporti sociali; essa può essere declinata in:
Informazione: che è la richiesta o la trasmissione di una notizia;
Chiacchierata: che rappresenta un semplice incontro dialettico tra persone, senza grosse pretese, alla buona;
Comunicazione che è il processo consistente nello scambio tra gli individui di messaggi, di informazioni, di idee attraverso un canale e secondo un codice;
Relazione: che consiste in un rapporto tra le persone che, attraverso studi e misure concrete, tende ad apportare un miglioramento della reciproca comprensione attraverso la conoscenza, l’affinità, la contemporaneità;
Empatia: che è la capacità di porsi in maniera immediata nello stato d'animo o nello spirito di un'altra persona, con nessuna o scarsa partecipazione emotiva, identificandosi con la stessa;
Complicità: che è la connivenza e rappresenta l’estrema sintonia comunicativa (questo sostantivo, purtroppo, è spesso usato nelle attività malavitose);
La cortesia che è la raffinatezza, la gentilezza e la generosità dei modi unita alla nobiltà di partecipare con modo, garbo e rispetto ad in un incontro è una condizione necessaria ma non sufficiente affinché si determini un perfetto equilibrio comunicativo.
In un’azienda in cui ho lavorato vi era un alto dirigente, alla fine della carriera, preparato, intelligente, esperto, che dopo ogni incontro in cui illustrava le politiche aziendali usava dire: “non so se mi sono capito”! A me sembrava una battuta senza significato ma poi con il tempo credo di aver capito a cosa alludesse: alla difficoltà di trasmettere per lui e capire per gli altri correttamente le nozioni, le procedure, i pensieri, agli ostacoli insiti nella corretta comprensione della trasmissione delle idee e delle cose da fare che, a volte, rendono difficile le interpretazioni, anche a se stessi, di ciò che si pensa e si esprime. Il manager parlava a se stesso chiedendosi se ciò che aveva espresso in parole corrispondeva al suo pensiero ed interrogava i convenuti per sapere se aveva comunicato chiaramente con sufficienza ed infine se avevano capito correttamente ciò che aveva riferito.
Questo viaggio nelle insidie visibili e nascoste del processo dialogico ci indurranno ad una serie di riflessioni e valutazioni la cui madre di tutte le madri è il ragionamento; Socrate diceva: non propongo regole ma insegno solo a ragionare.
Prima di iniziare questo intrattenimento sulla comunicazione mi necessita fare alcune considerazioni. Il nostro tempo, diversamente da quanto si possa pensare, per effetto dei grandi mezzi di comunicazione che ci sono stati messi a disposizione dalle attuali tecnologie, non è il tempo della comunicazione interattiva, ossia del dialogo tra le persone, del confronto, del contraddittorio nel rispetto delle idee altrui ma è piuttosto il tempo del formalismo comunicativo, è il tempo della trasmissione delle informazioni, della sopraffazione dei pensieri delle altre persone, della imposizione dei concetti, non dello scambio di opinioni e del confronto dialettico. I nostri colloqui sono diventati la sinteticità del processo transattivo che, di per se, è già pieno di ostacoli, anche quando si cerca di esplicitarlo nel modo più ampio e particolareggiato possibile. L’utilizzo di simbologie, di metafore, il poco o il cattivo uso della punteggiatura, l’impiego di un vocabolario troppo circoscritto, o troppo confinato all’utilizzo di un clan, non rendono il linguaggio comunicativo facilmente comprensibile ed esaustivo. Le insidie insite nei processi transattivi, come vedremo, si espandono a dismisura, assumono contorni impensabili e le variabili amplificano le minacce dello stesso andamento dialogico. Il nostro modo d’essere, le nostre prerogative personali, i linguaggi, le posture, gli aspetti psicologici, l’attivazione dei sensi e quanto altro fanno il resto. Non è da meno considerare che noi continuamente indossiamo maschere che utilizziamo in ogni incontro, maschere che ci aiutano ad apparire o a scomparire, a nascondere o a dimostrare, a mettere in mostra i nostri lati nascosti o a sbandierarli. nella menzogna o nella verità, Il buon uso delle stesse ci consente di cambiare atteggiamento in ogni occasione. Le indossiamo volontariamente o, come spesso accade, le mostriamo senza accorgercene mentre la postura, il linguaggio, le espressioni dimostrano ben altro.
Benedette discussioni davanti al camino ove ognuno esprimeva i propri pensieri e convinzioni, con semplicità di linguaggio, difendendoli anche con animosità ma certamente con maggior rispetto dell’altrui convincimento.
La comunicazione, che non è cortesia, nell’ambito delle scienze del comportamento e nella teoria dell'informazione, è il processo consistente nel trasmettere e ricevere concetti, sentimenti, nozioni, idee, speranze; è mettersi in relazione con altri, avendo la possibilità di scambiarsi punti di vista, consigli, suggerimenti, nel reciproco rispetto.
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